Ecco un altro libro che può cambiare per sempre il modo di vedere il mondo: 'Il secolo
breve', di Eric Hobsbawm. Devo all'insistenza di mio padre, appassionato di storia contemporanea, la sua lettura. Me lo trovai gentilmente sul comodino, come una bibbia, durante uno dei miei sporadici soggiorni in Italia. Oggi, dopo aver letto il saggio di Baricco (The Game) ho deciso di parlarne.
Definito ‘un
libro potente e inquietante - dal London Review of Books - Il secolo breve rappresenta
uno dei vertici della scrittura storica nel periodo postbellico’.
Ma non solo.
È la storia di un secolo dilaniato da ‘guerre di
religione’, perché tali appaino ad Hobsbawm le ideologie che hanno tempestato
il mondo dal 1914 fino al 1991, l'anno in cui crollò l'Unione Sovietica.
È la storia delle ideologie politiche e della loro competizione,
dei loro camuffamenti della loro evoluzione, tutte nate da una radice
comune, esposta in modo che sia accessibile a tutti. Un saggio scritto
‘per tutti coloro che desiderano comprendere il mondo e che credono che la storia sia importante a questo scopo’
La sua leggibilità
si deve a una prosa scorrevole, a un piglio da uomo disincantato ma dagli occhi
bene aperti, con un grande equilibrio tra innocenza e consapevolezza, con frequenti
sovrapposizioni tra storia e memoria. Hobsbawm è ironico, o gentile dove altri storici
si sarebbero scaldati, intuitivo e analitico allo stesso tempo, sempre avulso a
luoghi comuni.
Gli occhi sono
quelli di un uomo nato nel 1917 ad Alessandria d’Egitto, città cosmopolita e multiconfessionale
allora occupata dalla Gran Bretagna, da genitori di fede ebraica provenienti dall’Europa dell’est.
La sua nascita in quel luogo accidentale gli suggerisce che l'Europa da sola
non può essere la sua unica materia di studio.
Il suo è il
resoconto di una vita passata attraverso diversi continenti e culture, di
eventi storici dei quali è un “osservatore partecipe”. A quindici anni è a
Berlino e vede Hitler diventare Cancelliere della Germania, fugge a Londra, simpatizza con gli antifranchisti, presta servizio militare tra i Royal Engineers durante la seconda guerra mondiale. È a Mosca nel
1957, davanti al mausoleo di Stalin, è accademico a Cambridge quando due
studenti della sua università scoprono il DNA.
Queste sporadiche
‘interferenze’ del vissuto sull’osservato giocano un ruolo perfetto nel
coinvolgimento del lettore de ‘Il secolo breve’.
Il 20° secolo è
stato probabilmente il più cruciale per l’umanità, non solo per le guerre, i
genocidi, le torture e le deportazioni per motivi razziali o ideologici, ma anche il secolo dello spostamento
definitivo dell’asse di potere al di fuori di quell’eurocentrismo che aveva
caratterizzato tutta la storia precedente.
E poi il ’68, con la rottura
generazionale.
Il secolo breve si ferma al 1991, alla caduta dei muri, prima dell’avvento di internet.
Questo impagabile
testimone dell’era moderna suggerisce, verso la fine del libro, dei modelli
sociali plausibili che hanno funzionato, ma a suo avviso ‘troppo presto
dismessi’. Si riferisce alle socialdemocrazie nordeuropee, modelli spesso ignorati a vantaggio
di visioni ideologiche totalizzanti come il liberalismo e il ‘socialismo reale’.
L’indicazione di Hobsbawm suona oggi quasi come un allarme nostalgico. Oggi assistiamo al
progressivo smantellamento dall’interno di quelle strutture etiche e sociali che hanno
assemblato un modello di successo duraturo, purtroppo poco esportato.
Se ti piace cosa leggo o cosa ne penso, c’è già una buona probabilità che ti piaccia cosa scrivo.
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