mercoledì 1 maggio 2019

the game - alessandro baricco




Vi sembrerà strano, ma preferisco Baricco come saggista che come romanziere: The Game è da leggere fino in fondo, quasi senza fiato. 
Parte bene, parte con lo sguardo curioso, quasi innocente, di chi ha voglia di rimettersi in discussione, con una voce narrante spettacolare. Credo sia questo il miglior complimento che si possa fare a uno scrittore: dirgli che ha una voce forte, inconfondibile. Sembra di averlo lì, in camera o sul prato, che te la racconta di persona. Non mi viene in mente un artifizio migliore per far digerire un saggio a chi non ne legge spesso.

Baricco è bravissimo, a volte antipatico come d'altronde Eco, nel dirci ‘ciò che sa’.  Ma spesso dimentichiamo che quel che uno ‘sa’ è ciò che ha scoperto dopo aver frugato a lungo; dentro sé stesso, nelle biblioteche. O nello studio di un amico nerd.
Lo chiama Il Gioco (The Game) perché è con questo spirito che sono nati l’informatica popolare e il nostro essere connessi: come un gioco, un videogame; con uno schermo e una pulsantiera che poi si sono evoluti in tastiere, monitor, touch screen. Partendo dal calcio balilla e dalla sua evoluzione solitaria che è il flipper, per approdare a space invaders l’aspetto ludico ha soffiato sull'onda del cambiamento epocale.
Lo tzunami ci ha portato un mondo nuovo, un altrove divertente e accessibile a tutti, privo di barriere. E nuove insidie, come l'individualismo di massa'. L'uomo che prima giocava al calcio Balilla passò al flipper. Ma il mondo nuovo nasce con uno scopo elevato: scongiurare gli orrori del 20° secolo. Baricco ce lo racconta bene con una prosa da affabulatore nato e il pensiero lucido di uno che ha in tasca una laurea in filosofia. 
Lo fa con tanto di mappe: le innovazioni digitali spuntano come montagne dal fondo di un ipotetico oceano, la timeline di una trasfigurazione planetaria.
Chiama il suo frugare negli albori del digitale ‘archeologia’. Un espediente perfetto per rimarcare che non si tratta di un semplice cambiamento ma di una transizione da un’era all’altra. Con lo spazzolino da archeologo riesuma un bel numero di chicche.
La più bella di tutte viene da Stewart Brand, cui Steve Jobs deve il copyright di ‘Stay hungry, stay foolish’:

‘Per cambiare una civiltà bisogna cambiare gli strumenti con cui pensa e opera quella civiltà’

E questo hanno fatto i vari Steve Jobs e Tim Berners-Lee (l’inventore del www): metterci in mano l’equivalente moderno di una selce scheggiata e cambiare definitivamente il corso della storia umana e del pianeta.
Bisogna avere anche un animo sereno per guardare The Game con occhi ottimisti e trasognati, soprattutto per la mia generazione, che ha salutato con entusiasmo il suo avvento, per poi provare sempre più spesso fastidio, fino a un sottile orrore, che non viene tanto da analfabetismo digitale quanto dalla  consapevolezza che giganti come Google Amazon e Facebook non sono fondazioni etiche, ma multinazionali che tendono al profitto attraverso il monopolio e la manipolazione.

La sua visione dei monopoli è il punto di tutto il saggio che mi torna meno. Baricco non li vede come una minaccia, li vede come parte di un mondo nuovo cui non siamo pronti e quindi ci spaventa. E chissà se ha ragione lui, visto il crollo dei vecchi concetti di Stato, di informazione e di Élite che The Game ha provocato. Lo avrebbe fatto in nome di un potente colpo di spugna sul vecchio sistema che ha prodotto guerre, diseguaglianze e deportazioni.Vogliamo impedire che ccada di nuovo, a qualsiasi costo.
Un gioco nuovo che, secondo Baricco, nessuno può veramente controllare, nemmeno i proprietari: un’estensione del nostro essere umani, teso alla velocità e alla conseguente necessità di semplificazione, verso un’utopia dai connotati anarchici.

Lo scopo di The Game era sabotare le basi e i presupposti del 20° secolo, quello che Eric Hobsbawm  ha fotografato magnificamente ne ‘Il secolo breve’, il più sanguinoso della storia umana. Un capolavoro che Baricco sì, conosce bene. 
Per quanto mi riguarda restano in piedi i dubbi sulla capacità di un sistema sviluppatosi - suo malgrado - all'interno del liberalismo sfrenato di garantire pace e prosperità, ma l'analisi esposta in The Game non fa una grinza.

Ecco, mi domando cosa ne penserebbe Hobsbawm, se fosse ancora vivo,  del saggio di Baricco. 
È un peccato che non possa leggerlo e commentarlo, perché The Game ha i connotati di una valida estensione al suo ‘Secolo breve’.

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